Aggiornato il 28 Aprile 2023
Gli indici di liquidità indicano la capacità dell’impresa a far fronte tempestivamente ed economicamente alle obbligazioni di pagamento. L’azienda deve mantenere un quadro di coerenza tra la liquidabilità degli impieghi e quello di esigibilità delle fonti. Quando si valuta l’equilibrio tra fonti e impieghi di breve scadenza, si parla di equilibrio monetario (o solvibilità aziendale a breve termine). Quando si fa riferimento al lungo periodo si parla di equilibrio finanziario (o solvibilità di medio-lungo termine).
Per la solvibilità di breve periodo, si fa riferimento all’analisi della liquidità secondaria (current ratio)
L’indicatore di liquidita corrente (current ratio) è composto da attività a breve al numeratore (liquidità immediate + liquidità differite + rimanenze) e le passività a breve al denominatore. Questa relazione esprime la capacità di far fronte ai debiti di breve termine attraverso le proprie attività circolanti. Il benchmark individuato per questo indicatore deve essere ≈ 2, ossia le attività a breve dovrebbero essere circa il doppio delle passività a breve.
L’indice del capitale circolante netto (Net Working Capital) prende in considerazione gli stessi elementi della liquidità corrente
Come l’indice di liquidità corrente, esso esprime l’attitudine dell’impresa a fronteggiare il fabbisogno finanziario a breve con mezzi finanziari a breve. Se il risultato sarà minore di zero, senza dubbio ci si trova in una condizione di disequilibrio finanziario, poiché le passività a breve sono superiori alle attività a breve. Se il risultato risulta maggiore di zero, prima di trarre conclusioni affrettate, si rende necessario valutare la composizione quantitativa e qualitativa dell’attivo a breve termine.
L’indicatore di liquidità secca (quick ratio) indica il potenziale dell’impresa a onorare le passività a medio termine attraverso l’impiego delle sole liquidità immediate (cassa) e liquidità differite (crediti).
La trappola di questo indicatore risiede in un risultato troppo elevato a causa di crediti non esigibili contabilizzati nelle liquidità. Nonostante questo fattore di ambiguità, un benchmark prossimo o superiore all’uno indica una buona situazione di liquidità.
L’ultimo indicatore per l’analisi della solvibilità nel breve periodo è il margine di tesoreria.
Questo indice, accostabile all’indice di liquidità secca, indica in modo più realistico la capacità dell’impresa a far fronte ai propri debiti a breve termine (stesso obiettivo del capitale circolante netto). Con questo indice-differenza si vuole individuare il margine rimanente di breve periodo dopo avere pagato tutti i debiti a breve termine. Si ottiene un risultato surplus, se positivo o deficit se negativo. Il benchmark è posto a valori >0.
In conclusione, valori sopra l’unità del margine di tesoreria e del capitale circolante netto e valori superiori all’unità degli indicatori di liquidità segnalano che nell’impresa si riscontra un equilibrio orizzontale di breve periodo alla fine del periodo di competenza. Nonostante le condizioni di liquidità sono rappresentate da flussi di cassa, non è da dare per scontato che, durante l’esercizio, l’impresa sia stata sempre in una situazione positiva di liquidità.
L’equilibrio orizzontale a breve termine risulta, quindi, fortemente influenzato dalla durata medie delle attività e debiti a breve termine (crediti e debiti). Per questa ragione, può esser utile avere altri due indicatori. L’indice della durata media dei crediti, ossia quanto tempo intercorre tra l’erogazione del servizio o la vendita del bene e l’effettivo pagamento da parte del cliente (e.g. pagamento a 60 giorni); e l’indice della durata dell’esposizione debitoria, ossia quanta dilazione nei pagamenti ci viene concessa dai nostri fornitori.
Ai crediti e ai debiti a breve termine bisognerà sottrarre gli anticipi ricevuti o pagati nell’arco di tutto il periodo di competenza (un anno). Una durata media dei crediti molto elevata, potrebbe mettere in seria difficoltà l’azienda. Questo perché, per far fronte agli investimenti, l’istituto ha necessariamente bisogno di risorse monetarie che non riceve ancora dalle vendite già effettuate. Il rimedio sarà una buona gestione finanziaria per colmare il gap temporale tra l’effettiva vendita e il successivo ricavo. Se l’impresa è in grado di finanziare i nuovi investimenti per soddisfare la domanda attuale, avrà a disposizione tre strade
-ricorrere al capitale di terzi (gestione finanziaria)
-cercare di ridurre il tempo dei crediti verso i propri clienti
-cercare di dilatare il tempo di pagamento dei propri debiti verso i fornitori.
Nonostante la strada più semplice e meno costosa sia la seconda, un buon management deve pensare al danno che può creare al cliente e quindi, al rischio di perderlo per future transazioni. Nonostante l’attesa del pagamento dei crediti verso clienti, rimane persistente il rischio di insolvibilità. Quando un credito diventa insolvibile vuol dire che il cliente non può pagare per diverse ragioni che dovranno essere giustificate. L’impresa venditrice, per recuperare il credito, si avvale sul patrimonio aziendale o del proprietario (in base alla ragione sociale), senza garanzie di ricevere tutto ciò che gli spetta (il capitale sociale e immobilizzazioni dell’impresa insolvente devono esser divisi tra tutti i creditori). L’impresa deve tenere sempre conto dei rischi che potranno portare a perdite su crediti.