Aggiornato il 13 Ottobre 2025
Con straordinario forfettizzato si indica un accordo con cui datore e lavoratore stabiliscono in anticipo un importo fisso, di norma mensile, a copertura di un predeterminato monte di ore extra rispetto all’orario normale. Il punto di partenza resta la cornice sull’orario di lavoro: in Italia la legge definisce straordinario il lavoro svolto oltre l’orario normale e impone che, in media, la durata settimanale non superi le 48 ore comprensive delle ore extra, con ulteriori limiti e modalità fissati dalla contrattazione collettiva; a livello costituzionale il trattamento complessivo deve rimanere proporzionato e sufficiente. Questi vincoli derivano dal d.lgs. 66/2003 e dall’articolo 36 della Costituzione.
La legittimità del forfait non discende da una norma che lo “crea”, ma dall’interpretazione giurisprudenziale che lo ammette se ancorato a un numero determinato o determinabile di ore e se non diventa uno schermo per eludere i limiti legali o collettivi. La Corte di cassazione ha chiarito che è nullo l’accordo che fissa una “somma massima” onnicomprensiva a prescindere dalle ore effettive svolte, perché quella clausola implicherebbe una rinuncia preventiva a compensi dovuti per prestazioni eccedenti il forfait; è invece ammissibile che si garantisca un minimo di ore retribuite forfetariamente, restando dovute le maggiorazioni per l’eventuale eccedenza che il lavoratore provi di avere resa. Questo è il nucleo dell’indirizzo tuttora richiamato a partire da Cass. 26 maggio 2000, n. 6902.
In concreto, un patto valido di forfettizzazione funziona come un’anticipazione convenzionale delle maggiorazioni per un certo quantitativo di straordinario; se in un periodo si lavora meno del monte coperto, l’importo resta normalmente dovuto per intero, mentre se si superano le ore coperte dal forfait maturano differenze retributive per l’eccedenza, fermo l’onere del lavoratore di provarla con strumenti idonei (documenti aziendali, timbrature, e-mail, testi). Questo assetto è ribadito dalla prassi applicativa e dalla dottrina giuslavoristica che hanno sedimentato il concetto di “minimo garantito” e di “conguaglio” sulle ore oltre forfait.
Resta fermo che i tetti di legge e dei contratti collettivi continuano a valere anche in presenza di un forfait, perché la salute e la sicurezza dettano un limite alla quantità di ore utilizzabili; la media massima di 48 ore settimanali su un periodo di riferimento e, in difetto di disciplina collettiva, il limite annuo comunemente indicato di 250 ore sono parametri di contenimento dello straordinario che la prassi e la giurisprudenza richiamano con costanza. La clausola forfettaria non può autorizzare, di per sé, volumi illimitati di lavoro extra.
Sul piano retributivo, se l’emolumento “forfettario” viene corrisposto stabilmente e di fatto si sgancia dal corrispettivo di ore extra, esso muta natura e diventa una voce fissa della retribuzione, il più delle volte qualificabile come superminimo individuale: in tal caso entra nel computo degli istituti retributivi e non può essere ridotto unilateralmente. La Cassazione lo ha affermato con continuità, chiarendo che conta la funzione effettiva della voce e non il solo “nome” riportato in busta paga.
Il tema dell’assorbibilità dipende dal contenuto dell’accordo e, in difetto di pattuizione contraria, la giurisprudenza considera in via generale il superminimo assorbibile a fronte di successivi incrementi dei minimi contrattuali; ciò non consente però al datore di “svuotare” retroattivamente un forfait nato per coprire straordinario realmente reso, né di eludere limiti e maggiorazioni previsti dai contratti collettivi. La casistica più recente segnala che l’uso prolungato e non collegato alle ore svolte favorisce la qualificazione di quella somma come retribuzione fissa non comprimibile se non alle condizioni pattuite.
Quando il rapporto è part-time, occorre distinguere tra lavoro supplementare (oltre l’orario concordato ma entro il normale orario a tempo pieno) e lavoro straordinario in senso stretto: un forfait che pretendesse di “coprire tutto” indistintamente rischierebbe di confondere istituti diversi e di violare regole proprie del part-time fissate dal CCNL. Anche qui i limiti del d.lgs. 66/2003 e le prassi di settore restano un argine operativo.
Sul piano redazionale, l’accordo funziona quando indica in modo chiaro l’importo, il periodo di riferimento e il numero di ore coperte, specifica come si trattano le eccedenze e ribadisce che restano fermi i tetti legali e collettivi, evitando formule di onnonnicomprensività o di “massimo a forfait” che la giurisprudenza considera nulle. È prudente, inoltre, allineare la clausola con il CCNL applicato, regolando autorizzazioni, tracciabilità delle ore e criteri di verifica, così da rispettare il principio di proporzionalità della retribuzione nell’economia del trattamento complessivo.
In sintesi, lo straordinario forfettizzato è uno strumento negoziale lecito solo se resta un modo trasparente di pagare, in anticipo e in misura determinata, un certo numero di ore extra, con pagamento separato delle eventuali eccedenze e nel rispetto dei limiti sull’orario. Quando, nella prassi, la somma si stabilizza senza rapporto con l’effettivo straordinario, quella voce si consolida come retribuzione fissa e, come tale, non è comprimibile unilateralmente. La linea di confine è tracciata dal d.lgs. 66/2003 e dalle pronunce della Cassazione che, da un lato, censurano i “forfait massimi” e, dall’altro, riconoscono la trasformazione del forfait in superminimo quando esso si affranca dalla sua funzione originaria.